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Lo studio del Bureau Européen des Unions de Consommateurs. Il costo della cattiva consulenza.

Il modello di remunerazione nel mondo bancario / assicurativo è probabilmente la principale causa di un problema che crea gravi conseguenze a molti investitori non solo in Italia, ma anche in tutta Europa.

Questo modello infatti remunera il professionista esattamente come se fosse un venditore e quindi in percentuale sui costi sostenuti dal cliente. Quindi a maggiori oneri corrisponde “meccanicamente” maggior guadagno.

Per quanto serio sia il consulente, appare fin troppo evidente che questa impostazione abbia insito un potenziale, pesante quanto ineliminabile, conflitto di interesse.

Situazione diametralmente opposta per i liberi professionisti che sono pagati esclusivamente a parcella direttamente dai propri clienti. Le loro prestazioni infatti non hanno un costo imposto da altri, ma concordato con ogni singolo assistito in funzione dell’impegno richiesto.

Non a caso molti prodotti che non generano costi (e quindi introiti) periodici, sono raramente proposti dalle reti di vendita e quando anche sono presenti nei portafogli, lo sono in misura assolutamente marginale.

Al contrario, è assai probabile che vengano collocati prodotti eccessivamente complessi e quindi costosi o peggio ancora rischiosi.

Conseguente a questo problema c’è anche la limitata (per quanto vasta) offerta alla quale il modello permette di accedere.

Con un esempio tanto banale quanto realistico il consulente della Banca A, non potrà mai proporre conto corrente, fondi, polizze ecc. della Banca B anche se sa perfettamente che sono migliori, più efficienti o a minore costo di quelli della propria banca.

Con buona pace della libertà di scegliere il meglio per il proprio portafoglio.

Il problema della qualità della consulenza, dei costi e del conflitto di interesse è talmente grave da spingere il Bureau Européen des Unions de Consommateurs (Beuc) un ente che raggruppa al proprio interno 44 organizzazioni di consumatori indipendenti di 32 diversi paesi, ad intraprendere nel 2018 una campagna nominata: “The price of bad advice” dove questi temi vengono analizzati approfonditamente.

Sono purtroppo numerosi i casi di disservizio o di pessima consulenza che le singole associazioni di consumatori a livello nazionale hanno segnalato a questa associazione e il tratto comune appare chiaramente legato alla modalità di remunerazione dei professionisti. Si tratta quindi di un problema grave che merita da parte dei risparmiatori la massima attenzione e, soprattutto, di investire – letteralmente – un po’ di tempo per documentarsi e verificare la propria situazione.

Possibilmente prima di pagare un costo spropositato in termini di esborso o di rischio.

Invito quindi alla lettura dei relativi dossier che credo possano essere fonte di un’eccellente informazione.

Roberto Dolza

 

 

 

Fonti: We-Wealth e Beuc

Foto di adege da pixabay.com

Al risparmiatore non fare sapere… (soprattutto i costi). Meno ti conosce e meno ti può mettere in discussione.

La gestione della propria conoscenza rispetto a quella altrui è – da sempre – il mezzo probabilmente più potente per perseguire i propri interessi e mantenere il potere assoluto.

Questo è valso e vale per qualsiasi dittatura, nelle guerre, nei rapporti commerciali.

Le asimmetrie conoscitive rendono debolissimo un soggetto rispetto ad un altro e quindi automaticamente facilmente controllabile da chi detiene il potere della (maggiore) conoscenza.

L’aspetto più grave di queste considerazioni è che chi si trova in situazione di deficit cognitivo, quasi sempre non ne è conscio.

O peggio, per paura, non affronta il problema.

Recentemente in un interessantissimo articolo del bravo giornalista Vito Lops de Il sole 24, si legge che “… una ricerca di Standard and Poor’s e Banca Mondiale pone l’Italia al 63esimo posto nel mondo”. Scritto in questi termini magari non colpisce molto il lettore.

Ma se proseguiamo nella lettura scopriamo che nella specifica classifica, l’Italia viene DOPO Zimbabwe e Togo. A quel punto la tragicità del problema diventa più evidente.

Eppure… Proprio da parte degli investitori che dovrebbero essere consci di quanto per loro sia fondamentale avere un minimo di preparazione, la ricerca di informazioni è praticamente nulla.

Permane – nei fatti – la politica dello struzzo con gli evidenti rischi che, inevitabilmente, quella posizione comporta.

Ma questi argomenti perché dovrebbero interessare i nostri lettori?

Per il fatto che esiste un industria che invece certi meccanismi li conosce perfettamente e li sfrutta con comportamenti decisamente efficaci rispetto ai propri obbiettivi di cui vi proponiamo un chiaro esempio.

Semplificando molto, l’evoluzione della normativa europea MIFID a protezione degli investitori europei rende OBBLIGATORIO che il risparmiatore sia edotto sui costi che paga per il servizio di investimento.

A questo punto ci si potrebbe chiedere se questo avviene, quale sia la differenza rispetto al passato e se ci possa essere un problema.

La risposta è assolutamente sì, il problema esiste ed è anche importante. Infatti per l’investitore una cosa è andarsi a leggere PRIMA della sottoscrizione del contratto che quel fondo costa l’1,5% di acquisto e magari il 2,5% di gestione annuo (alzi la mano chi mai l’ha fatto!). Altra cosa è invece ricevere un documento in cui è scritto sostanzialmente e a chiare lettere: “Caro investitore quest’anno hai pagato 1.500 euro di costo di sottoscrizione più altri 2.500 euro di costo di gestione. Totale 4.000 euro. Cordiali saluti”.

L’impatto ovviamente sarà tanto più scioccante quanto realistico nella percezione della realtà.

La reazione dell’industria a questi nuovi obblighi normativi è quella – davvero incredibile – che potrete leggere nei link allegati.

Vi invitiamo quindi caldamente ad approfondire questi articoli.

Fonti: Il Sole 24 Ore, Bluerating, Citywire