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Un mondo che cambia. Spazi diversi per investire. C’era una volta e ora non c’è più.

Il mondo sta cambiando a una velocità della quale non sempre percepiamo l’intensità. Sarà ancora possibile investire con le logiche utilizzate fino ad ora?

Sotto i nostri occhi, ma non sempre pienamente recepiti, stanno avvenendo cambiamenti che interessano molti aspetti: politici, storici, di comunicazione, di relazione, economici, sociali, della quantità e disponibilità di ricchezza procapite, tecnologici solo per fare alcuni esempi. Sono cambiamenti epocali rispetto a un passato recentissimo dai quali quasi certamente non si potrà – sotto alcuni aspetti fortunatamente – tornare indietro e che stanno già impattando pesantemente nella nostra vita quotidiana.

Di conseguenza dovranno necessariamente cambiare anche gli approcci all’investimento dei propri risparmi. Dovrà soprattutto aumentare il proprio livello di consapevolezza, fondamentale insieme alla preparazione finanziaria elementare, per vivere questo processo in modo cosciente e non passivo. Bisognerà approfondire e fare propri i concetti di orizzonte temporale, profilo di rischio personale, programmazione. Occorrerà in particolare comprendere, imparare e adattarsi perché se è vero che certe opportunità sono finite per sempre, è altrettanto vero che altre – nuove, diverse, interessanti – si stanno aprendo.

Proverò ora a fornire qualche semplice esempio per evidenziare alcuni di questi cambiamenti.

Rendimenti obbligazionari (Titoli di Stato in particolare)

Chi come me è “diversamente giovane” ricorda sicuramente come fosse appagante e facile investire in Titoli di Stato intorno agli anni ’80 nel nostro Paese. Bastava acquistare un semplicissimo BOT e dopo un anno si incassava un utile anche superiore al 10% alla scadenza; era sufficiente a quel punto rinnovarli. E la giostra girava per tutti.

Semplice, immediato, pochi fastidi, indolore.

Pochi però si rendevano conto che in termini reali a causa dell’inflazione, il vero guadagno quasi si azzerava oppure che sui BTP si potevano perdere soldi in conto capitale o ancora che si stava creando un mostro che peserà sulle teste di molte future generazioni di Italiani.

Soprattutto veniva appagata la grande soddisfazione di un (apparente) lauto guadagno e – peggio ancora – si generava la certezza di un flusso continuo di cedole sicure.

A questo è seguita nel tempo la creazione di fondi a distribuzione di proventi o a cedola che dir si voglia, sottoscritti con particolare energia dai risparmiatori italiani sempre più vittime del progressivo calo dei rendimenti cedolari fino al punto di alcuni prodotti che per distribuire “cedole” disinvestivano quote di patrimonio. I costi di questi prodotti hanno poi dato il colpo di grazia abbattendo i magri rendimenti.

I figli del tempo delle cedole, laute e sicure, sono diventati per sempre orfani.

I contratti assicurativi prevalentemente a carattere previdenziale (Ramo I)

Quando ho intrapreso il mio percorso professionale nel mondo della consulenza, sono stato “caldamente” invitato a operare come agente assicurativo in attesa del superamento dell’Esame di Stato per poter accedere all’Albo dei Promotori Finanziari. Allora la maggior parte dei contratti erano a carattere previdenziale e a fronte di determinate peculiarità anche normative, garantivano a scadenza un capitale o una rendita. Siccome gli eventi legati alla vita di un essere umano sono due (l’essere in vita o la morte) venivano proposte coperture accessorie che tutelavano anche nel caso di premorienza dell’assicurato (sottraendo ovviamente il costo di questa copertura dal capitale realmente investito per non far percepire l’ulteriore costo sostenuto).

Al di là di limitate opzioni sul caso morte (veniva riconosciuto un extra rimborso in casi di morte quasi al limite della fantascienza), si trattava di prodotti sostanzialmente semplici con alcuni vantaggi che per quei contratti e con il senno del poi, sarebbero diventati spropositati. Innanzitutto veniva riconosciuto un tasso minimo garantito che oggi non sarebbe possibile immaginare neanche nel più bello dei sogni: il 4%. Poi il rendimento veniva consolidato su base annua. Ultimo ma non ultimo durante il periodo di conferimento dei premi veniva riconosciuto l’80% del risultato di gestione e, se dopo la scadenza non si chiedeva il riscatto, si arrivava anche al 90% (pur sempre al netto di costi importanti).

E oggi? Oggi le cose sono un po’ cambiate, ad esempio il tasso tecnico si aggira intorno all’1% e il consolidamento in molti casi avviene su base decennale. Vi invito a giocare con la calcolatrice per vedere la differenza. Da un punto di vista commerciale poi, oggi ci sono sostanzialmente due possibilità: A) Se disponete di patrimoni a nove zeri qualche contratto interessante della “vecchia” tipologia previdenziale, potrebbe venirvi proposto ma con la “piccola” condizione che investiate pesantemente – anche –  in altre tipologie di prodotti di casa, B) Se invece non disponete di patrimoni a nove zeri verrete condotti in gregge (vedi questo post) verso i cosiddetti prodotti misti, che oggi sono venduti a mani basse.

Ma di cosa si tratta? Sostanzialmente sono costituiti da: 1) uno specchietto per le allodole dato da una componente di prodotti Ramo I (quelle di cui ho scritto sopra) per vendere la “sicurezza” e 2) da una matrioska dentro la quale vi ritroverete fondi che non conoscerete, che non avete scelto, che non potrete sostituire, che non vi daranno alcuna garanzia, che probabilmente a causa di costi e inefficienze non riusciranno a restituirvi neanche l’andamento degli indici di mercato, il tutto incollato a una carta moschicida a base di costi.

Avevo già trattato questo tema in questo post che potrete leggere per approfondire.

Voi umani dovete ancora vedere cose che non potete neanche immaginare. I Quatitive Easing e alcune loro conseguenze.

Parafrasando la famosa frase del film Blade Runner, è come se il mondo da qualche anno avesse varcato una di quelle porte spazio / tempo che compaiono in alcune pellicole di fantascienza per entrare in una dimensione completamente sconosciuta e senza alcuna certezza di poter tornare indietro. Semplificando molto, dopo la crisi del 2008 il sistema per evitare di collassare, ha iniziato a pompare nell’economia mondiale immense quantità di liquidità e ancora continuerà a farlo, anzi l’attuale crisi del Coronavirus ha di molto incrementato e accelerato questo procedimento. La logica iniziale era che semplicemente non si poteva fare diversamente per salvare il mondo e peraltro non c’erano esperienze analoghe precedenti. Ma come tutti i viaggi intergalattici nessuno poteva conoscere cosa si sarebbe scoperto e quali rischi si sarebbero corsi.

Questa grandissima massa di denaro praticamente a costo zero è arrivata solo parzialmente a sostegno delle imprese o famiglie alle quali era destinata. Una parte importante è “andata” a caccia di rendimento. Prima sul mercato obbligazionario facendo crescere per la legge della domanda e dell’offerta i corsi e abbattendo quindi i rendimenti, creando inoltre una distorsione supportando titoli di aziende ormai tecnicamente fallite che altrimenti sarebbero state spazzate dal mercato. Poi seguendo la logica di Tina (vedi questo articolo) si è orientata sull’azionario comprando – quasi – di tutto semplicemente perché non c’è alternativa.

Non solo.

Questa situazione si autoalimenta perché i prezzi dei titoli di stato di alcuni Paesi non possono crollare e allora vengono sostenuti da continui acquisti delle principali Banche Centrali, con la conseguenza che il premio al rischio apparente e quindi la differenza di rendimento tra due titoli equivalenti si è ridotta in modo anomalo e riflette ormai solo in parte quello che sarebbe il vero premio al rischio tra due emittenti con economie diversamente solide.

Tutto questo dovrebbe finire, ma immaginare come e quando è fantascienza nella fantascienza, almeno nelle attuali condizioni dell’economia mondiale anche perché la sola ipotesi di rallentamento di questa condizione creerà una serie di onde abbastanza alte sulle quali ci troveremo a navigare possibilmente indossando per tempo gli opportuni salvagenti. Al momento comunque si tratta di una ragionevole possibilità che – dovrebbe – essere ancora abbastanza lontana nel tempo; prima bisogna salvare il mondo.

Infine potrebbe manifestarsi il problema dell’inflazione (vedi post) che in queste condizioni potrebbe creare stagflazione (vedi Treccani).

Quindi viviamo in un mondo che è cambiato per un tempo che sicuramente non sarà breve.

I cambiamenti nei modelli della distribuzione o del commercio.

Pochi decenni fa, molti lo ricordano, quando esistevano i videoregistratori a nastro, si diffuse in tutto il mondo una catena americana di noleggio di film su videocassetta chiamata Blockbuster composta da migliaia di negozi. Molti tra di noi hanno fatto le code per noleggiare e restituire (sovente i ritardo!) quei film. Sembrava una rivoluzione nel modo di consumare il prodotto cinematografico e invece è scomparsa in breve da tutto il mondo. Analogamente è accaduto per molti altri settori come per esempio i nuovi modelli di vendita al dettaglio che sono progressivamente scomparsi schiacciati dall’e-commerce, ma poi da questo riesumati e in parte rinvigoriti in un ciclo continuo di cambiamento.

Conclusioni

Diventa quindi evidente che l’approccio ai propri investimenti dovrà essere rivisto, non solo dal mondo professionale, ma anche dagli investitori finali, dai risparmiatori.

Oggi ad esempio è molto difficile ottenere un ragionevole flusso cedolare, o meglio di rendita, sui singoli titoli a meno di alzare sensibilmente l’asticella del rischio e questo è diventato un grosso problema per le compagnie assicurative. Occorrerà che i risparmiatori imparino che questo flusso dovrà essere generato (come peraltro è sempre stato anche se magari non percepito) non solo dalle cedole stesse, ma anche dalle differenze di corso tra acquisto e vendita.

Oggi il più importante indice azionario mondiale lo S&P500 che dovrebbe riflettere in modo ragionevolmente preciso l’andamento della principale economia al mondo, è pesato per oltre il 30% da una manciata di aziende di dimensioni gigantesche e quindi fornisce un dato che sostanzialmente va conosciuto e interpretato per il “nuovo” valore che assume. Un’altro paradigma che andrà valutato diversamente.

Se quindi alcuni aspetti andranno ponderati con la massima attenzione e con occhi diversi dal passato è tuttavia altrettanto vero che si stanno presentando sempre nuove e interessanti possibilità che, fino a pochi anni fa, erano utopistiche o semplicemente irrealizzabili e che ragionevolmente avranno importanti spazi di sviluppo e per lungo tempo.

Energie pulite, ciclo delle batterie, trattamento dell’acqua, tecnologie medicali avanzate, gli infiniti campi di applicazione dell’intelligenza artificiale, soluzione ai crescenti problemi demografici, la logistica specializzata rispetto al mondo dell’e-commerce, le attività legate ai cambiamenti climatici, l’inesorabile uscita dalle fonti di energia fossili sono alcuni esempi. L’importante sarà sempre cercare di ridurre al massimo le correlazioni tra le diverse classi di attivi, non rincorrere i trend sull’onda emotiva e non focalizzare l’attenzione sugli obiettivi di breve termine, ma di accettare che le singole attività o mercati sottostanti abbiano il tempo di sviluppare le loro potenzialità e infine di adattarsi con attenzione alle nuove opportunità che i cambiamenti del mondo si presenteranno.

Ultimo ma non ultimo: e se il gigantesco debito accumulato nel mondo venisse resettato? Un’altro possibile cambiamento epocale potrebbe apparire in questo strano viaggio che ha intrapreso il mondo. Per ora solo una ipotesi, ma… mai dire mai. Trovate uno spunto nell’ultimo bottone di approfondimento,

 

 

 

 

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

 

 

L’inflazione (utile) che ancora manca. Tempi nuovi per le Banche Centrali?

L’inflazione, quando controllata, è utile all’economia? Qual’è la situazione attuale?

Cercherò di riprendere in modo assolutamente elementare alcuni concetti in modo da poter fornire ai lettori le informazioni minime per rispondere alla domanda scritta nel titolo di questo post.

Che cos’è l’inflazione?

L’inflazione consiste nell’aumento del prezzo di ampia portata di beni o prodotti che non si limita a singole voci di spesa. A questo link potrete trovare la spiegazione fornita dal sito della Banca Centrale Europea. Solitamente si misura su determinati periodi temporali, tipicamente un anno e viene espressa in termini percentuali. Qualora invece di crescere i prezzi diminuiscano, si parla di deflazione.

Qual’è la principale conseguenza dell’inflazione?

La principale conseguenza dell’inflazione e quindi dell’aumento dei prezzi, è la diminuzione del potere di acquisto; ne deriva che a parità di importo disponibile, diminuiranno le quantità di beni effettivamente acquistabili. In alternativa sarà necessario un maggior impiego di risorse per acquistare la stessa quantità di beni o servizi.

Qual’è la principale causa di creazione dell’inflazione?

Semplificando davvero molto, ma mantenendo coerenza con l’obbiettivo di questo post, l’inflazione si crea grazie all’aumento della domanda di beni o servizi. Se questa cresce significa gli acquirenti sono in condizione di poter pagare un prezzo maggiore per lo stesso prodotto. La domanda stessa inoltre viene guidata entro determinati obbiettivi principalmente dalle Banche Centrali o dai governi (anche) con l’imposizione fiscale.

Cosa influenza la crescita dell’inflazione?

Alcuni parametri quali una forte crescita economica o il basso costo del denaro con cui ci si finanzia possono spingere la domanda e quindi la disponibilità a sostenere oneri maggiori rispetto al periodo precedente. Ma questa disponibilità può essere influenzata dalle istituzioni in vario modo, ad esempio variando la quantità di moneta disponibile oppure alzando o abbassando il costo dei finanziamenti, oppure ancora riducendo l’imposizione fiscale sia diretta (sui redditi) che indiretta (sui prodotti). Un altro parametro e sempre a titolo di esempio è il cambio; al suo variare – a parità di costo nella valuta di denominazione – potrà ad esempio aumenterà il prezzo finale da sostenere perché occorrerà più valuta locale per convertirla in valuta estera. L’inflazione è anche legata intimamente al livello di disoccupazione e ne avevo parlato in questo post. Estremamente importante infine è il clima di fiducia che in un determinato momento, si percepisce tra i cittadini: al suo crescere aumenterà sensibilmente la propensione a spendere o investire, mentre al contrario questa verrà contratta. Se ad esempio si attraversa una fase di congiuntura negativa, la paura del futuro spinge a ridurre o addirittura annullare le richieste di aumenti salariali per evitare possibili licenziamenti; di conseguenza l’inflazione si avvicinerà tendenzialmente alla pericolosissima deflazione (cioè riduzione dei prezzi), ben più complessa da controllare e poi superare.

L’inflazione è utile?

Ad un prima approssimata valutazione si potrebbe rispondere no visto che al crescere dei prezzi si possono acquistare meno prodotti. In realtà non è così. Infatti l’inflazione è un chiaro effetto (non causa) della crescita economica di un paese. Infatti solo se aumentano le retribuzioni o comunque la capacità di spesa dei cittadini, questi saranno disposti a pagare di più i loro acquisti. Analogamente per la loro percezione del futuro. In questo clima positivo aumenta anche la predisposizione agli investimenti (anche di medio lungo periodo) sia delle famiglie che delle imprese con ovvi benefici sulla crescita del PIL che altrimenti verrebbero congelati o del tutto annullati con evidenti ricadute negative. Un aumento dei prezzi costituirà inoltre un aumento delle entrate indirette (es. IVA) in quanto la stessa percentuale di imposizione sarà computata su di un prezzo maggiore. L’inflazione infine abbatte in termini reali il debito pubblico.

Quanta inflazione?

Ovviamente l’inflazione deve essere controllata e indirizzata entro determinati valori stabiliti dalle autorità. Il motivo è – sempre semplificando – che una crescita incontrollata diventa dannosa perché rende di fatto nullo il potere di acquisto di una determinata valuta. Ci sono stati casi nella storia di Paesi nei quali l’inflazione era diventata talmente alta che le banconote furono usate per creare palle di carta per giocare a football e questa situazione è ancora reale come potrete leggere qui in merito al Venezuela Paese che nel momento in cui scrivo ha un tasso di inflazione annuo del 2.400%. Ovviamente si tratta di un caso limite, ma nel mondo ci sono aree con livelli di questo tasso assai diversi come diverse sono le economie dei Paesi che la subiscono. Mediamente nei Paesi ad economia di mercato libera negli ultimi decenni si è sostanzialmente ridotta come ad esempio in Italia passando da valori molto vicini al 20% degli anni’80 fino ai valori attuali intorno o inferiori all’ 1%. Quindi sempre semplificando molto, da valori troppo alti a valori “troppo” bassi.

Il ruolo delle Banche Centrali e il nuovo possibile loro paradigma. Il probabile grande cambiamento di approccio.

Tendenzialmente queste istituzioni hanno lavorato (seppur con mandati abbastanza diversi in funzione dei loro Paesi di appartenenza) a controllare l’inflazione e soprattutto a ricondurla verso un valore ritenuto corretto come massimo accettabile. Questo concetto è stato particolarmente importante per la Banca Centrale Europea in quanto il suo maggiore contributore – la Germania – all’inizio del secolo scorso ha subito un periodo di lunghissima e durissima inflazione ancora ben presente nella memoria del Popolo tedesco. Quindi, semplificando, finora l’obbiettivo della BCE è stato un tasso di inflazione vicino, ma non superiore, al 2% annuo.

Il concetto quindi è di oscillazione verso un tetto massimo. Tuttavia tutta una serie di parametri che non riporto per brevità in questa sede, ma soprattutto gli effetti della crisi del 2008 e di quella di quest’anno del Coronavirus, hanno rimescolato le carte fino a considerare nuovi possibili parametri di valutazione. Completamente diversi.

Quali i motivi? Il rallentamento delle economie, veloce e pesantissimo, ha portato Governi e Istituzioni a rendere disponibile nel sistema una massa di liquidità assolutamente mai vista a costo praticamente pari a zero, per cercare di sostenere prima e far riprendere poi la crescita delle economie mondiali. In questa fase di fortissima decrescita del PIL mondiale ovviamente le vendite di beni e servizi sono crollate e con loro si sono mantenuti contenuti quando addirittura non scesi i loro prezzi mentre le pressioni salariali sono semplicemente scomparse. Da quel momento l’obbiettivo massimo del 2% è diventato quasi un utopia con evidenti danni per i motivi che ho esposto sopra.

Ora però si potrebbe affacciare l’ipotesi esattamente opposta. Infatti, se grazie all’evoluzione del quadro pandemico e soprattutto alla rapida diffusione del vaccino, si avviasse una “forte” fase di crescita dopo una fortissima contrazione, l’inflazione potrebbe riprendere a incrementarsi. Probabilmente troppo almeno rispetto al tetto massimo del 2%. La crescita mondiale ha subito un pesantissimo contraccolpo e tutte le Istituzioni stanno cercando di affrontarlo ricorrendo a soluzioni non convenzionali e soprattutto inimmaginabili fino a pochi mesi fa in quanto avrebbero scatenato polemiche e veti incrociati da parte di molti governi, soprattutto nella Ue, sostanzialmente fornendo liquidità illimitata a costi praticamente pari a zero e sostenendo con acquisti continui le obbligazioni governative dell’area euro.

Conclusioni

Ecco quindi profilarsi il probabile importantissimo cambiamento di approccio della BCE (ma non solo) verso il target di riferimento del 2%: non sarebbe più il valore massimo, ma bensì il valore medio. Si accetterebbero quindi, seppur in via teorica, variazioni del valore limite anche “sensibili” verso l’alto (dovute all’enorme massa di liquidità iniettata nel sistema e che ben difficilmente potrà a breve essere drenata salvo danni maggiori) che finora erano precluse, focalizzando gli interventi al rispetto del valore medio.

Si affaccia quindi la possibilità di un nuovo fondamentale ruolo (finora precluso) per la BCE: non solo il controllo del tasso di inflazione ma anche la possibilità di implementare una vera politica di interventi diretti di sostegno alla crescita economica europea. E in questa logica ecco che il limite massimo attualmente vincolante, assumerebbe un valore relativo venendo sostituito da valori medi proprio a sostegno della crescita. É evidente che questo approccio, se messo in atto, avrà conseguenze davvero interessanti in questo universo inesplorato che è diventato il mondo dopo le ultime crisi e l’attivazione dei QE.

Ci sarà da osservare l’evoluzione di questa ipotesi anche perché non mancheranno forti opposizioni dai Paesi rigoristi.

Grandi cambiamenti si stanno presentando all’orizzonte. Forse.

 

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

 

 

Houston abbiamo un problema. Un grosso problema.

Gli hanno detto di tutto. Lo hanno denigrato, hanno avuto per lui consigli (!) di ogni tipo e lo hanno apertamente osteggiato, più volte lo hanno adulato tentando di soddisfare un interesse di parte.

Però, adesso che sta per finire il suo mandato, burocrati e governanti cominciano – seriamente –  a preoccuparsi.

Mario Draghi è stato presidente della Banca Centrale Europea in uno dei peggiori momenti della storia comune e recente dei governi, ma soprattutto delle economie, di questo continente.

Ha avuto la preparazione, il coraggio e la correttezza di fare scelte difficilissime, quasi sempre osteggiate da questo o da quel governo. Ha dovuto lavorare non con una comunità ricca di regole sostanzialmente omogenee e condivise come negli USA, ma con un “accrocchio” di governanti (e governicchi) che sostanzialmente non hanno saputo far altro che tirare una coperta perennemente troppo corta.

Ha avuto infine la capacità di fare accettare ai politici e ai relativi governi – che sostanzialmente sono sponsor con diversa capacità contributiva – manovre che (apparentemente) favorivano solo i contributori minori al bilancio europeo.

Un Santo? Infallibile? Ovviamente no. Avrebbe potuto fare meglio? Forse. Ma, a parte il fatto che tutti sanno che fine faccia il senno del poi,  siamo convinti che molti altri senza altrettanta “schiena dritta” avrebbero al suo posto creato danni enormi.

Un aspetto che ci ha profondamente colpiti del suo mandato è che ai fatti e alle relative assunzioni di pesanti responsabilità, sono seguite poche parole, mentre sempre più assistiamo al triste e preoccupante spettacolo delle troppe parole quasi sempre non seguite da fatti (risolutivi).

Ora che il suo mandato si sta rapidamente avviando alla fine, molti cominciano a preoccuparsi seriamente di trovare un sostituto, altrettanto preparato, fermo verso le pressioni dei governi locali, in un momento per l’Europa difficilissimo.

Il problema crediamo che non sia il risultato delle prossime elezioni, ma il fatto che inesorabilmente si avvicina il momento di una impegnativa ristrutturazione dell’Unione Europea, dove per il bene di tutti, i singoli stati dovranno cedere – non a parole, ma nei fatti – potere locale per creare una vera e forte struttura centrale.

Mario Draghi ha dovuto affrontare una crisi pesantissima con strumenti e modi mai utilizzati prima. Il suo successore dovrà avere la capacità e la forza di timonare tenendo la barra al centro nella più importante e complessa evoluzione dell’Europa.

Ne vedremo delle belle.

Il costo (nelle tasche degli Italiani) delle parole senza regole.

Sembra facile, ma non lo è. Pare che i politici italiani abbiano dimenticato (o devono ancora imparare?) che nelle sedi pubbliche occorre la massima attenzione a non esprimersi come se si fosse al bar dello sport. Le parole hanno un peso diretto importantissimo, soprattutto quando sono dette nella veste di rappresentanti dello Stato Italiano. Ci sono regole non scritte – ma peraltro di buona educazione e semplice buon senso – che non bisognerebbe superare pena danni molto gravi. Diretti e indiretti.

Danni che, già ora, pesano nelle tasche di tutti i cittadini e che, tragicamente non saranno, almeno nell’immediato, percepiti perchè non sono visibili direttamente quanto lo sarebbe ad esempio una tassa sulla benzina. Ma sono assolutamente reali, importanti e permarranno nel tempo. Purtroppo lo spread è “semplicemente” il costo per l’affidabilità di un Paese e la sua sensibile risalita in condizioni di relativa stabilità dovuta all’ombrello di protezione del Quantitavie Easing della Bce è un pessimo segnale anche perchè altri Paesi che sono in condizioni analoghe, non hanno registrato un simile incremento. Cosa accadrà a breve quando questo ombrello sarà tolto?

In Europa e nel mondo peraltro, l’attenzione verso l’Italia è elevatissima e il motivo è davvero banale. Se il nostro Paese dovesse trovarsi in condizioni simili a quella della Grecia di pochi anni fa – e non è fantascienza – il conto alla fine dovrebbero pagarlo in molti e quest’idea non rende molto comprensivi.

Il secondo tipo di danni deriva dalla perdita di credibilità internazionale e il nostro Paese si sta avvicinando a grandi passi (stante l’attuale comportamento dei nostri politici) verso un baratro la cui risalita sarà infinitamente più pesante in virtù del fatto che già ora non dispone di un immagine di elevata affidabilità.

Seduti a questo tavolo non ci sono “buoni o cattivi” e sicuramente l’Europa deve essere migliorata.

Ma sarebbe meglio non farlo mettendo un dito negli occhi degli altri commensali.

 

Prepariamo gli ombrelli

Se è vero che dopo la poggia torna sempre il sereno, è anche vero il contrario.

Si stanno moltiplicando i segnali negativi dall’economia mondiale che, sia singolarmente sia concomitanti, potrebbero portare a un deciso aumento della volatilità con conseguenti discese dei valori obbligazionari e azionari. Al momento nessuno di questi segnali ha portato conseguenze dirette, ma come pesanti nuvole scure si stanno accumulando all’orizzonte. Occorre quindi attrezzarsi nel limite del possibile per questa possibile variazione del quadro economico mondiale.

Proviamo ad analizzare brevemente alcuni di questi segnali.

  • Posizione delle principali Banche Centrali (Fed e Bce)

La Fed, forte di una ripresa assai robusta ormai iniziata nove anni fa e di una quasi piena occupazione, dopo aver concluso il proprio Quantitative Easing ha iniziato da tempo, e ancora proseguirà nel corso del prossimo futuro, il programma di graduale aumento dei tassi. Le motivazioni sono diverse, ma in particolare: A) iniziare ad accumulare “munizioni” per la prossima possibile fase di rallentamento, B) il controllo dell’inflazione che potrebbe crescere in modo incontrollato stante le condizioni dell’economia.

La Bce si trova in una situazione quasi opposta e quindi assai più delicata. Innanzitutto, il ciclo di ripresa è partico circa cinque anni dopo e, fino ad ora, si è dimostrato assai più lento di quello USA. L’economia UE cresce “a macchia di leopardo” con Paesi come l’Italia in cui quasi langue rendendo il nostro paese molto più vulnerabile e rallentando (anche sotto questo aspetto) il contenimento del debito pubblico. I paesi più forti come la Germania non investono a sufficienza creando squilibri. L’inflazione – al momento – non sembra essere preoccupante. La debolezza e la mancanza di coesione sono quindi evidenti. L’area europea dovrebbe anzi, secondo alcuni osservatori, continuare ad essere supportata dalla propria Banca Centrale. Questa tuttavia dovrebbe iniziare il periodo di rialzo dei tassi, ma le condizioni per i motivi spiegati sopra, non sembrano essere ancora mature. Nel caso di una ipotetica crisi, la Bce avrebbe comunque meno energie da spendere. Infine, la potente Germania potrebbe rinunciare alla poltrona di banchiere centrale che le spetterebbe “di diritto” in cambio della presidenza UE, anche questa è una possibile opzione con le relative conseguenze.

  • Fine del Quantitative Easing Europeo – Italia possibile anello debole

Ovviamente prima o poi anche il Quantitative Easing europeo finirà e di conseguenza inizierà la fase di normalizzazione con la progressiva ripresa del costo del denaro. Entrambe le fasi non saranno certamente indolori sia perché ragionevolmente si tornerà a prezzare correttamente il rischio dei singoli paesi dell’unione, sia perché molti corsi obbligazionari attualmente troppo elevati dovranno scendere e le conseguenze saranno visibili anche sul reddito variabile. A patire ovviamente saranno i paesi meno virtuosi (e quindi anche e soprattutto l’Italia causa il suo enorme debito). Il nostro paese in questo momento è osservato speciale perché potrebbe diventare il detonatore di una crisi grave dell’Europa. Debito pubblico pesantissimo e governi manifestamente incapaci di governare uniti a plateali dichiarazioni su temi che poi si dimostrano evidentemente irrealizzabili rispetto a quanto proposto in campagna elettorale, hanno “solo” per il momento iniziato a far crescere sensibilmente lo spread, ma la tensione è massima. Tutto il mondo finanziario – ma anche politico – sta osservando con comprensibile preoccupazione quanto alla fine in realtà l’attuale governo vorrà realizzare. Qualora certi equilibri fossero superati, le conseguenze sarebbero pesantissime. Quando, con quale velocità, con quale intensità e con quali tempi verranno messe in atto le scelte della BCE, al momento sarebbe azzardato dirlo. A oggi risulta difficile immaginare alternative e quindi si rende necessario essere accettabilmente preparati per affrontare le possibili criticità.

  • Mercati

Le obbligazioni (di qualsiasi tipologia) causa l’immensa liquidità fornita dalle banche centrali a costo pari quasi a zero, hanno raggiunto prezzi molto elevati e quindi rendimenti bassissimi. Anche il rating ormai non dà quasi premio e quindi bisogna agire con la massima circospezione. Non sono neanche escluse importanti movimenti da parte di alcuni paesi (Giappone e Cina) che potrebbero non aver più interesse a detenere titoli USA o EU nell’attuale misura e quindi potrebbero liquidare posizioni importanti. È una delle tante ipotesi, ma non irrealistica.

Le azioni (decisamente cresciute negli Stati Uniti e meno in Europa) potrebbero subire ovvie conseguenze se il ciclo economico rallentasse sensibilmente o si verificasse parte di quanto prospettato ai punti precedenti.

  • Considerazioni finali e strategia adottata

Al momento è davvero difficile immaginare oltre a un orizzonte di breve periodo la prosecuzione della ormai lunga fase di crescita. Le alternative potrebbero essere una sorta di stabilità e poi un deciso aumento della volatilità. Con queste considerazioni e non dimenticando che i nostri clienti non sono dei traders, ci pare difficile fornire una sufficiente protezione ai portafogli con la sola diversificazione degli attivi. È stata decisa quindi una diversa strategia.

Sono state in parte o totalmente dismesse molte posizioni in modo da creare un importante serbatoio di liquidità con quattro principali obbiettivi:

  1. Monetizzare e stabilizzare molti dei guadagni finora ottenuti che fino alla vendita sono virtuali
  2. Ridurre sensibilmente la possibile maggiore volatilità totale dei portafogli
  3. Disporre di energie importanti da reinvestire
  4. Entrare con cadenza mensile su orizzonti di medio periodo (se necessario inglobando anche gli investimenti di alcuni mesi) almeno sui mercati più importanti e stabili

In questo modo, monitorando con la massima attenzione i costi operativi, potremo continuare a utilizzare OICR tipicamente passivi come gli ETF sfruttandone la specifica maggiore volatilità, affiancandoli a pochi selezionati strumenti a gestione attiva con gestori che abbiamo dimostrato nel tempo di avere strategie efficienti e di sapersi muovere bene in condizioni non facili.

La peggiore condizione per questa strategia sarebbe una costante e prolungata crescita dei mercati sia obbligazionari che azionari. Questa però è davvero l’ultima cosa che ci parte di vedere all’orizzonte per il prossimo futuro.

La crescita in Europa si rafforza e appare sempre più consolidata

Riportiamo questo interessante articolo apparso sul sito di Bloomberg contenente diversi spunti interessanti in merito alla crescita economica dell’area Euro.

Appara chiaro che questa si stia rafforzando come anche il consenso verso l’area stessa da parte dei suoi cittadini nonostante la crescita di movimenti populisti in diversi paesi.

Al contrario le previsioni continuano a essere negative vero il Regno Unito considerando soprattutto che il vero prezzo per l’uscita dalla UE non è ancora stato pagato. Questo avverrà a partire dal momento in cui le trattative in corso inizieranno a stabilire i primi veri punti fermi di questa fase. Al momento infatti la prima conseguenza oggettiva si è palesata sui movimenti del cambio e quindi anche su quelli dell’inflazione.

Anche l’approccio della BCE verso il futuro tapering (riduzione degli stimoli monetari) essendo stato quanto mai accorto nei modi e nei tempi delle comunicazioni, non ha ancora avuto impatti importati che prima o poi ci aspettiamo sulle obbligazioni in particolare governative del continente.

Il vento per l’Europa appare ancora decisamente positivo.

Fonte Bloomberg

Le prossime decisioni della BCE e le possibili conseguenze

Oggi è prevista un’importante riunione della BCE, dalla quale dovrebbero emergere gli orientamenti della stessa e le relative azioni.

Al di là di quanto emergerà da questo evento, riteniamo questo video molto interessante per chi desidera comprendere come la Banca Centrale opera e quali possono essere le conseguenze dirette sia sui mercati sia nell’economia reale.

Per dubbi o domande in merito potete postare come sempre un commento a questo articolo.

Fonte Il Sole 24 Ore