Bitcoin e criptovalute. Se ne dicono tante…

Criptovalute, Bitcoin & Company; quanto si parla ultimamente di questi “veicoli” di investimento!

Ma questi pareri andrebbero valutati con la massima attenzione.

Selezionando, almeno, fonti realmente qualificate.

Avevo già affrontato questo tema parecchio tempo fa qui e qui e ma, anche se non è una soluzione che propongo ai miei assistiti, ho pensato di parlarne nuovamente in considerazione dei cambiamenti che in questo tempo si sono manifestati.

Quale informazione?

Pochi, pochissimi tra coloro che ne parlano e scrivono tra le varie piattaforme e social, sono tecnicamente e realmente preparati su questo tema certamente non facile e comunque complesso. Tanti, tantissimi anzi probabilmente la maggior parte, ne scrivono perché si sono improvvisati “guru” di questo difficilissimo argomento.

Quasi come a Zelig.

Sovente la sera seguo alcuni canali di Youtube che trattano della mia passione, la fotografia, e nello scorrere le pagine del sito, appaiono diversi filmati sulle criptovalute che in molti casi, sono più divertenti di una puntata di Zelig (per chi lo ricorda).

Ricchi soprattutto di solide certezze, di previsioni infallibili o ancora di spiegazioni incollate per spiegare in modo sicuro il motivo dell’ultimo crollo e dire che no, non bisogna assolutamente preoccuparsi.

Andando oltre queste esternazioni, i pareri indiscutibilmente qualificati, possono fornire un quadro ragionevolmente attendibile almeno sui potenziali rischi visto che la trasparenza è assai bassa e non a caso tutte le principali Istituzioni hanno posizioni assai critiche.

Oltre “I cattivi”

Ma nella retorica dei vari Robin Hood da tastiera, le Istituzioni sono sempre cattive e difendono solo i “poteri forti” di cui sono schiave e serve. Un po’ come quando, ricorderete, qualcuno per protestare contro le mascherine anti Covid ha deciso di bruciarle davanti alle telecamere. Peccato che le mascherine non brucino…

C’è qualcuno che ha titolo (ed esperienza) per parlarne? E qual’è il suo parere?

Allora proviamo a verificare il parere degli attori del mercato e in particolare quello di un signore che quasi nessuno sicuramente conosce: Michael Burry.

Non un pivello, ma semplicemente colui che nel 1998 comprese tutto il marcio dietro il mondo dei mutui subprime, giocò e vinse pesantemente contro i colossi della finanza mondiale.

Che il suo parere possa essere interessate e qualificato? (Fonte Investire Oggi).

PS: Se non avete mai visto il film “La grande scommessa” mi permetto di consigliarne caldamente la visione.

Foto di Stux da Pixabay

 

 

I soldi sul conto corrente sono nostri? Non proprio.

C’è un tema che probabilmente molti non conoscono, inerente i soldi depositati sul proprio conto corrente.

Che invece dovrebbe essere ben chiaro a chiunque.

 

Cominciamo dal Bail In

Proviamo ad affrontare il tema di questo post partendo da qualche anno fa, dall’entrata in vigore della famosa legge sul Bail In, la quale prevede che in caso di fallimento della propria banca, i correntisti privati possano essere chiamati a sanare il dissesto dell’istituto con la loro disponibilità liquida per la componente superiore ai 100.000 euro per ogni titolare del conto corrente.

Una domanda semplice, ma importantissima

In quei giorni, fu scritto molto su questo tema (spesso a sproposito), ma non ricordo di aver letto una semplice domanda:

Perché un correntista che ha semplicemente versato della liquidità sul conto corrente di cui è titolare dovrebbe rimediare con questa ai problemi della banca?

Eppure, si tratta di una domanda fondamentale da porsi prima – molto prima – del manifestarsi dell’eventuale problema.

La situazione appare ancora più paradossale se pensiamo che il semplice correntista non investitore: A) Non ha acquistato un’obbligazione emessa dalla banca e quindi non ne è creditore, B) Non ha acquistato azioni e quindi non ne è proprietario.

Il Codice Civile, ci viene in aiuto

La risposta ce la fornisce l’articolo n. 1834 comma 1 del Codice Civile che recita: “Nei depositi di una somma di denaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria alla scadenza del termine convenuto, ovvero a richiesta del depositante, con l’osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi.”

Ergo i soldi depositati sul conto corrente… NON sono più i nostri soldi quindi possono essere aggrediti dai creditori della banca e l’obbligo di restituzione da parte dell’istituto di credito può non essere più onorato.

Cosa fare allora per proteggersi?

Immaginiamo per esempio che due clienti cointestatari (marito e moglie o due soci) abbiano depositato 1.000.000 di euro in attesa di farne uno specifico uso. In questo caso sono tutelati dal fondo di garanzia interbancario fino a 100.000 cadauno. L’esigenza da soddisfare in questo esempio è di poter disporre rapidamente della liquidità e agire per evitare di sottoporla a rischi investendola in diverse classi di attivi.

Come fare per tutelare gli altri 800.000 euro? Aprire altri quattro conti correnti presso altri istituti di credito? Sarebbe ovviamente oneroso, fastidioso, decisamente poco pratico da gestire.

La soluzione esiste

Eppure, la soluzione ed è di una banalità disarmante. È sufficiente acquistare per l’importo non protetto un etf di liquidità. Tecnicamente i soldi vengono prelevati dal conto corrente – e quindi non sono più aggredibili – e trasferiti sul conto titoli sotto forma di un OICR con tutte le importanti tutele previste dalla normativa per questi prodotti. Attenzione però: NON bisogna incorrere nell’errore di acquistare un titolo di Stato o peggio un’obbligazione emessa da un’azienda privata anche se con vita residua breve, primo per un possibile problema di solvibilità – mai dire mai – e secondo perché a scadenza i soldi tornerebbero immediatamente sul conto corrente!

Semplicissimo, con un costo ridicolo, trasferibile da una banca all’altra in caso di dissesto. Classe di attivi? Di fatto assimilabile alla liquidità sul conto corrente. Liquidabilità? Massima, si vende a mercati aperti e tre giorni lavorativi dopo si dispone della liquidità sul conto (in caso di problemi su quello della nuova banca però!). Rendimento? Di questi tempi zero. Rischio? Se il rischio zero non esiste e quindi è un’utopia, esso sarà comunque molto vicino a questo valore.

Sicuramente infinitamente più basso di quello che si sarebbe corso lasciando i soldi sul conto corrente.

Meglio saperlo prima di acquistare fondi comuni o polizze assicurative “sicuri”.

 

Foto di Stux da Pixabay

 

 

Lo studio del Bureau Européen des Unions de Consommateurs. Il costo della cattiva consulenza.

Il modello di remunerazione nel mondo bancario / assicurativo è probabilmente la principale causa di un problema che crea gravi conseguenze a molti investitori non solo in Italia, ma anche in tutta Europa.

Questo modello infatti remunera il professionista esattamente come se fosse un venditore e quindi in percentuale sui costi sostenuti dal cliente. Quindi a maggiori oneri corrisponde “meccanicamente” maggior guadagno.

Per quanto serio sia il consulente, appare fin troppo evidente che questa impostazione abbia insito un potenziale, pesante quanto ineliminabile, conflitto di interesse.

Situazione diametralmente opposta per i liberi professionisti che sono pagati esclusivamente a parcella direttamente dai propri clienti. Le loro prestazioni infatti non hanno un costo imposto da altri, ma concordato con ogni singolo assistito in funzione dell’impegno richiesto.

Non a caso molti prodotti che non generano costi (e quindi introiti) periodici, sono raramente proposti dalle reti di vendita e quando anche sono presenti nei portafogli, lo sono in misura assolutamente marginale.

Al contrario, è assai probabile che vengano collocati prodotti eccessivamente complessi e quindi costosi o peggio ancora rischiosi.

Conseguente a questo problema c’è anche la limitata (per quanto vasta) offerta alla quale il modello permette di accedere.

Con un esempio tanto banale quanto realistico il consulente della Banca A, non potrà mai proporre conto corrente, fondi, polizze ecc. della Banca B anche se sa perfettamente che sono migliori, più efficienti o a minore costo di quelli della propria banca.

Con buona pace della libertà di scegliere il meglio per il proprio portafoglio.

Il problema della qualità della consulenza, dei costi e del conflitto di interesse è talmente grave da spingere il Bureau Européen des Unions de Consommateurs (Beuc) un ente che raggruppa al proprio interno 44 organizzazioni di consumatori indipendenti di 32 diversi paesi, ad intraprendere nel 2018 una campagna nominata: “The price of bad advice” dove questi temi vengono analizzati approfonditamente.

Sono purtroppo numerosi i casi di disservizio o di pessima consulenza che le singole associazioni di consumatori a livello nazionale hanno segnalato a questa associazione e il tratto comune appare chiaramente legato alla modalità di remunerazione dei professionisti. Si tratta quindi di un problema grave che merita da parte dei risparmiatori la massima attenzione e, soprattutto, di investire – letteralmente – un po’ di tempo per documentarsi e verificare la propria situazione.

Possibilmente prima di pagare un costo spropositato in termini di esborso o di rischio.

Invito quindi alla lettura dei relativi dossier che credo possano essere fonte di un’eccellente informazione.

Roberto Dolza

 

 

 

Fonti: We-Wealth e Beuc

Foto di adege da pixabay.com

La Consulenza Finanziaria Indipendente nel 2020. Agli onori dei media dopo dieci anni di vergognosa sofferenza.

Ho iniziato il mio percorso professionale in questo settore nell’estate 1994, dopo soli tre anni dall’istituzione dell’allora Albo dei Promotori Finanziari.

Erano tempi davvero molto diversi e la recente istituzione dell’Albo era ritenuta – ed era – già un enorme passo in avanti per la regolamentazione del settore e una prima importante tutela dei risparmiatori.

Dopo aver sostenuto l’Esame di Stato per accedere all’Albo nel 2015, ho cominciato a operare come promotore finanziario fino al 2008 quando ho deciso di iniziare l’attività di consulente finanziario indipendente grazie alle spinte che anche a livello europeo promuovevano la legalizzazione di questa attività nel nostro Paese. Da subito ho anche deciso di iscrivermi alla nostra associazione di categoria NAFOP di cui ho l’onore di essere associato. L’anno non era casuale, infatti in quei mesi veniva pubblicata la nuova normativa specifica che faceva presupporre a brevissimo, l’avvio del nuovo Albo dei Consulenti Finanziari Indipendenti.

Poi il nulla per dieci lunghissimi anni. Un periodo di follia nel quale tutto si è bloccato grazie, a mio vedere, alle pressioni di mani forti che non volevano i cfi sul mercato.

Dieci anni appesi a un filo per il fatto di non essere più normati come promotori, ma non ancora come consulenti finanziari indipendenti. Perennemente in sospeso – non per colpa né per scelta – in un limbo normativo al limite di una illegalità non solo mai voluta, ma sicuramente aborrita.

La situazione cambia, radicalmente, nel 2018 quando l’Italia viene, di fatto, costretta ad adottare la normativa europea e a recepirne le indicazioni.

Nel mese di dicembre 2018, ho l’onore e la soddisfazione di essere iscritto di diritto al nuovo Organismo dei Consulenti Finanziari nel primissimo gruppo di professionisti abilitati all’esercizio della professione.

Dieci anni dopo.

Cosa è cambiato in questa decade che sembrava non finire mai?

Innanzitutto, grazie alla normativa europea, i cfi sono stati finalmente riconosciuti e normati ufficialmente come liberi professionisti (non ausiliari del commercio che operano con mandato o contratto di agenzia).

Ma il cambiamento più grande è che molti risparmiatori / investitori hanno iniziato ad avere dei dubbi sui servizi ricevuti, a informarsi, a chiedersi se esistessero alternative e a cercarle sul mercato. A conoscere  e riconoscere questa nuova figura professionale.

Il cambiamento è stato talmente grande che recentemente anche la giornalista Milena Gabbanelli ha redatto un servizio per Il Corriere della Sera di cui allego il link e che credo meriti un’attenta lettura.

Segnalo infine che i prossimi 20, 27 giugno e 4 luglio 2020, verrà pubblicata sull’inserto Plus de Il Sole 24 ore una campagna pubblicitaria a cura della nostra associazione per permettere al maggior numero di lettori di conoscere il diverso approccio professionale di un Consulente Finanziario Indipendente rispetto ad altre categorie che svolgono attività solo apparentemente simili.

Con l’occasione ringrazio pubblicamente NAFOP per l’azione difficile, pesante, lunga, ma alla fine vincente, di questi lunghi anni. Solo grazie a questa Associazione, a chi l’ha fondata e a tutti quelli che a diverso titolo si sono impegnati a farla crescere nel tempo, oggi i Consulente Finanziari Indipendenti possono avere l’orgoglio di lavorare in condizioni di piena legalità e assoluta indipendenza per l’esclusivo interesse dei loro assistiti.

La notte sta finendo ed è ora di cominciare a volare.

Roberto Dolza

Non si vive di soli tulipani

Buongiorno,

In questi giorni ha destato molta attenzione la fortissima contrapposizione tra Italia e Olanda sulle possibili soluzioni per supportare i Paesi dell’area euro in maggiore difficoltà a causa delle conseguenze del Coronavirus.

In particolare si rileva che:

A) l’Italia ha richiesto un intervento di finanziamento condiviso a difesa del futuro dell’intera Europa mediante l’emissione dei cosiddetti Eurobond. Il nostro Paese ha invocato questa soluzione a fronte di una situazione di oggettiva eccezionalità, ma contestualmente pur a fronte di indubbie doti, paga davanti al mondo l’immagine negativa di un sistema giudiziario, di una burocrazia, e di una storica evidente instabilità e incapacità della classe politica che da molti, troppi, anni lo governa. Paga soprattutto la mancanza di volontà di ridurre il mostruoso costo del debito pubblico. Chi dall’estero ci osserva ha notato in particolare che negli ultimi anni l’Italia è stata assolutamente incapace di monetizzare una condizione di tassi molto bassi per tagliare pesantemente proprio il debito pubblico che la soffoca.

B) L’Olanda invece ha, altrettanto oggettivamente, saputo creare condizioni ideali per fare impresa, snellire la burocrazia, ridurre pesantemente la tassazione, creare un bilancio statale assolutamente encomiabile. Solo virtù per questo Paese? Non proprio.

Vi riporto alcune parole tratte dall’articolo: Olanda, quei paradisi fiscali dietro il rigore dei conti pubblici scritto da Roberto Galullo e Angelo Mincuzzi e pubblicato oggi a pagina 11 de Il Sole 24 Ore di cui vi consiglio la lettura.

“… Amsterdam è piena di edifici come questo. Uno studio commissionato dal ministero delle Finanze, lo stesso dicastero guidato dal falco Wopke Hoekstra, ha rivelato che nel 2017 esistevano 15mila società “bucalettere”, la cui unica presenza sul territorio olandese era data da una cassetta postale. Nessun ufficio, nessun dipendente. Il loro numero si è mantenuto costante anche negli anni successivi. Ma il dato più interessante è un altro. Le 15mila società fantasma spostavano ricchezze per 4.500 miliardi di euro, cioè una cifra pari a quasi sei volte il Pil olandese e due volte e mezzo quello italiano.”

Da questa interessantissima inchiesta traspare una sorta di mondo parallelo dove 15.000 di società esistono solo formalmente, dove sono presenti 25.000 multinazionali, 17.500 avvocati o 1.238 società assicurative solo per citare alcuni dei dati forniti dagli autori. Dove, inoltre, capitali enormi transitano in entrata e uscita da e verso molti paradisi fiscali.

Non proprio la situazione virtuosa che il (solo) bilancio dello Stato farebbe presupporre.

Evidentemente non di soli tulipani si può vivere.

Al risparmiatore non fare sapere… (soprattutto i costi). Meno ti conosce e meno ti può mettere in discussione.

La gestione della propria conoscenza rispetto a quella altrui è – da sempre – il mezzo probabilmente più potente per perseguire i propri interessi e mantenere il potere assoluto.

Questo è valso e vale per qualsiasi dittatura, nelle guerre, nei rapporti commerciali.

Le asimmetrie conoscitive rendono debolissimo un soggetto rispetto ad un altro e quindi automaticamente facilmente controllabile da chi detiene il potere della (maggiore) conoscenza.

L’aspetto più grave di queste considerazioni è che chi si trova in situazione di deficit cognitivo, quasi sempre non ne è conscio.

O peggio, per paura, non affronta il problema.

Recentemente in un interessantissimo articolo del bravo giornalista Vito Lops de Il sole 24, si legge che “… una ricerca di Standard and Poor’s e Banca Mondiale pone l’Italia al 63esimo posto nel mondo”. Scritto in questi termini magari non colpisce molto il lettore.

Ma se proseguiamo nella lettura scopriamo che nella specifica classifica, l’Italia viene DOPO Zimbabwe e Togo. A quel punto la tragicità del problema diventa più evidente.

Eppure… Proprio da parte degli investitori che dovrebbero essere consci di quanto per loro sia fondamentale avere un minimo di preparazione, la ricerca di informazioni è praticamente nulla.

Permane – nei fatti – la politica dello struzzo con gli evidenti rischi che, inevitabilmente, quella posizione comporta.

Ma questi argomenti perché dovrebbero interessare i nostri lettori?

Per il fatto che esiste un industria che invece certi meccanismi li conosce perfettamente e li sfrutta con comportamenti decisamente efficaci rispetto ai propri obbiettivi di cui vi proponiamo un chiaro esempio.

Semplificando molto, l’evoluzione della normativa europea MIFID a protezione degli investitori europei rende OBBLIGATORIO che il risparmiatore sia edotto sui costi che paga per il servizio di investimento.

A questo punto ci si potrebbe chiedere se questo avviene, quale sia la differenza rispetto al passato e se ci possa essere un problema.

La risposta è assolutamente sì, il problema esiste ed è anche importante. Infatti per l’investitore una cosa è andarsi a leggere PRIMA della sottoscrizione del contratto che quel fondo costa l’1,5% di acquisto e magari il 2,5% di gestione annuo (alzi la mano chi mai l’ha fatto!). Altra cosa è invece ricevere un documento in cui è scritto sostanzialmente e a chiare lettere: “Caro investitore quest’anno hai pagato 1.500 euro di costo di sottoscrizione più altri 2.500 euro di costo di gestione. Totale 4.000 euro. Cordiali saluti”.

L’impatto ovviamente sarà tanto più scioccante quanto realistico nella percezione della realtà.

La reazione dell’industria a questi nuovi obblighi normativi è quella – davvero incredibile – che potrete leggere nei link allegati.

Vi invitiamo quindi caldamente ad approfondire questi articoli.

Fonti: Il Sole 24 Ore, Bluerating, Citywire

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Interviene la CONSOB sulla trasparenza dei costi che il sistema non applica.

Questa volta si è addirittura mossa la massima autorità di controllo dei veicoli di investimento operante in Italia. E lo ha fatto addirittura con un richiamo ufficiale al mondo degli intermediari e del risparmio gestito.

Questo perché, nonostante abbia avuto tutto il tempo necessario per organizzarsi, non applica ancora la normativa inerente la trasparenza dei costi entrata finalmente in vigore dal 01 gennaio 2019. Appare evidente che l’inosservanza delle legge stessa è fonte di possibile danno per gli investitori proprio a causa delle notizie che continuano a non essere loro fornite.

Abbiamo già parlato più volte del tema dei costi, ma ci sembra interessante far notare che una normativa di tale importanza venga palesemente disattesa fino a giustificare un richiamo di tale entità.

Il problema reale e oggetto del contendere risiede nella necessità di esplicitare chiaramente e per scritto ai clienti tutti i costi che devono sostenere per investire i loro risparmi. Finora la trasparenza era decisamente bassa e in particolare non vi era l’obbligo di rendicontare annualmente, in modo estremamente dettagliato, tutti gli oneri pagati. In questa situazione i risparmiatori non avevano di fatto modo di avere percezione diretta di quanto “il servizio” fosse pesantemente gravato e quindi inefficiente.

Una conto è sapere che per un certo prodotto si paga (ammesso e non concesso di aver letto la documentazione contrattuale…) una certa percentuale X%. Molto più esplicito e pesante è leggere nero su bianco che il costo è stato magari di 4.000 euro! E non stiamo certamente parlando di grandi portafogli.

Contro l’applicazione della normativa emanata a livello europeo dall’ESMA e di conseguenza adottata da tutti i singoli Paesi Ue, è in atto un tentativo di ritardare (nuovamente!) l’applicazione della stessa e probabilmente anche di metterla almeno in parte in discussione.

Correttamente la CONSOB è intervenuta con un richiamo ufficiale ricordando che la normativa c’è e deve comunque essere applicata a prescindere. Vedremo quali saranno gli sviluppi e dei quali vi aggiorneremo.

 

Costi: i nodi vengono al pettine. Due interessanti articoli.

Quante volte abbiamo scritto dei costi eccessivi, sostenuti da parte degli investitori. Mancava però una precisa percezione da parte loro o almeno una reazione all’apatia che questo tema sembrava evidenziare. Percezione che, probabilmente, arriverà grazie alla trasparenza della nuova normativa di cui abbiamo recentemente scritto su questa pagina a cui speriamo segua una reale presa di coscienza.

Comunque i cambiamenti non possono essere fermati e inevitabilmente comporteranno un approccio diverso da parte delle varie reti e banche verso la politica di remunerazione. Sicuramente le Autorità vigilano su questo tema in particolare l’ESMA e la loro attenzione è (e rimarrà) elevata.

Vi consigliamo quindi la lettura di due articoli che sono stati pubblicati oggi sulle pagine de Il Sole 24 Ore a firma di Massimiliano Cellino e di Marco Lo Conte che approfondiscono questo tema precisando che il problema riguarda esclusivamente il mondo dei consulenti abilitati all’offerta fuori sede (ex promotori finanziari) e non i consulenti finanziario autonomi (ex indipendenti) che non sono remunerati sui costi pagati dagli investitori.

 

 

Gli etf questi sconosciuti. Soprattutto in Italia…

Ci risiamo. L’ennesima classifica in cui ci ritroviamo nelle ultime posizioni.

Siamo tra i paesi europei nei quali gli Etf sono meno pubblicizzati e questo ha soprattutto un motivo davvero banale: i costi.

Ad essere onesti ci sarebbe un altro motivo che gli investitori probabilmente non conoscono: un portafoglio con molti strumenti passivi comporta inevitabilmente per il professionista un maggiore lavoro di monitoraggio e manutenzione dell’equivalente portafoglio con soli fondi comuni. Ma questo è un altro discorso.

Tornando ai costi se ad esempio un fondo azionario USA ha un costo di gestione (almeno) del 2%, l’Etf equivalente ha un costo di gestione che raramente supera lo 0,7%. E peraltro, su una piazza estremamente efficiente come quella nordamericana è quasi impossibile trovare un gestore attivo che riesca con persistenza a fare meglio del mercato stesso (e quindi dell’Etf che lo replica).

La differenza quindi deriva dal fatto che le reti di promotori e le banche incassano mediamente circa il 70% dei costi di gestione del fondo (che vanno ai venditori che li collocano) mentre per un Etf incassano esattamente 0 (zero!).

Ovviamente gli strumenti passivi non sono la soluzione “ognitempo” e hanno i loro pregi e difetti. Ma pagare un’enormità in più per ottenere quasi sempre lo stesso risultato dell’indice ci pare francamente una scelta da evitare.

Il vento su questo tema sta cambiando (grazie all’Europa di cui tanti si lamentano a sproposito) a favore dei risparmiatori, ma di questo parleremo un po’ più avanti.

Ecco spiegati i risultati delle classifiche in questo settore.

Qualcuno potrebbe farsi male

Quest’anno il nuovo governo italiano ha raggiunto probabilmente il massimo livello di scontro politico ed economico contro le Istituzioni.

Apparentemente contro l’Europa, ma realisticamente anche contro altri attori di sicuro peso a livello mondiale. Di conseguenza se il nostro Paese dovesse perdere la battaglia che ha iniziato a combattere sarebbero in molti a farsi male e, ovviamente, le loro reazioni non sarebbero indolori.

Le scelte fatte finora dai vari governi che si sono succeduti si sono rivelate di fatto una peggiore dell’altra, mai nessuno di questi è realmente riuscito a risolvere l’annoso problema dell’enorme debito pubblico italiano, nè a far ripartire una ragionevole crescita del Paese. Incredibilmente non è stata neppure colta la grande opportunità offerta dal quantitative easing europeo.

Tuttavia l’esecutivo attuale sembra (al momento) che stia andando allo sbaraglio contro tutto e contro tutti in virtù delle scelte di politica economica che vorrebbe adottare.

Queste scelte vengono “vendute” sostanzialmente con due motivazioni: A) questa sarà la manovra che risolverà i problemi di povertà degli italiani grazie a una miracolosa ripresa che la stessa manovra dovrebbe improvvisamente risvegliare, B) si va finalmente in battaglia, duri e puri, contro i cattivi cioè le Istituzioni Europee, le banche e i non meglio identificati poteri forti.

Peccato che la realtà sia assai diversa e – sopratutto – che la stessa si dovrà confrontare con i numeri che, è risaputo, non sono come i tunnel nelle montagne che un giorno ci sono e quello dopo devono ancora essere scavati.

I numeri reali che emergono dalle analisi dello stato attuale si scontrano contro quelli (al momento) previsionali che sembra siano stati quantificati come un piacevole esercizio di fantasia.

Detto altrimenti: stiamo assistendo allo scontro tra il certo e un (troppo ottimistico) incerto. Non male.

Peraltro siamo andati all’estero a spiegare che questa manovra è bella. E anche questa lode all’italica creatività ci sembra tecnicamente interessante.

Ciò che non viene spiegato con particolare enfasi – questa volta solo agli Italiani perché altrove lo sanno già perfettamente – è innanzitutto che i cattivi sono quelli che di fatto ci dovrebbero finanziare (!) buona parte della manovra. Poi non viene anche spiegato che tra i cattivi non ci sono solo banche ecc., ma anche tanti risparmiatori. Quelli italiani in particolare, grazie alla sola fase di preparazione e discussione creativa della manovra, stanno già perdendo un bel tesoretto che il sito de Il Sole 24 Ore di pochi giorni fa stimava in circa a 3.300 euro in otto mesi per ogni cittadino.

É accaduto infatti che da mesi ormai tutti i grandi investitori mondiali (altri cattivi) hanno provveduto a vendere Titoli di Stato del Bel Paese, oltre a titoli azionari. Si sono liberati di un debito che ormai non rende più rispetto al rischio che rappresenta.

Voi cosa avreste fatto al loro posto?

Lungi dall’incensare le banche (o il mondo della finanza) crediamo sia utile ricordare che i cattivi possono esistere solo perché ricevono soldi dal “popolo”. Quindi se da una qualunque banca i cittadini ritirassero tutta la loro liquidità, nello spazio di pochissime ora la banca fallirebbe. Quindi buoni e cattivi convivono sotto lo stesso tetto e il limite tra le due realtà si fonde quotidianamente almeno in parte dei reciproci interessi.

Proviamo ora con un’altra considerazione. I cattivi investono i soldi che i buoni affidano loro con l’obbiettivo di creare magari un futuro migliore per se stessi o i propri figli. I cattivi quindi con questi soldi (non loro) e tramite diversi strumenti, hanno acquistato Titoli di Stato italiani (anzi le banche italiane sono i maggiori acquirenti) che avevano un determinato livello di solidità. Livello di solidità sostanzialmente immeritato, ma di fatto garantito dall’ombrello della BCE. Peraltro l’ombrello sembra stia per chiudersi senza eccezioni. Forse non molti sanno che secondo la normativa non solo nazionale, ogni fondo comune è obbligato a indicare in quali titoli sceglie di investire. e in particolare il livello di rating degli specifici titoli, deve assolutamente essere mantenuto entro i livelli indicati nel prospetto informativo. Perché questo vi dovrebbe interessare? Perché i Titoli di Stato italiani sono in fase di declassamento e il loro rating è a un passo del livello junk cioè spazzatura. Se intervenisse una nuova riduzione del rating i fondi comuni di tutto il mondo che non dichiarino intenzioni speculative, dovranno non solo ridurre le posizioni, ma vendere totalmente tutti i Titoli di Stato italiani. E questo sarebbe davvero un gigantesco problema.

Infine la speculazione (quella vera, quella che davvero può far molto male) finora non si è neanche mossa. Se iniziasse a colpire, a chi a quel punto i coraggiosi eroi a chiederanno aiuto? Alla cattiva Europa? Agli uomini neri della BCE che peraltro ha già sparato quasi tutte le possibili cartucce?

Un po’ di tempo fa qualcuno disse: “Armatevi e partite!” e quelli che partirono erano armati con armi ridicole e mandati in Russia con divise estive. Colpisce l’analogia con il fatto che se questo quadro si realizzasse, quelli che partiranno saranno proprio i cittadini italiani; loro si a quel punto disarmati e senza più coperture. I cittadini attuali ma soprattutto quelli che ancora devono nascere e che – qualunque cosa Vi vengano a raccontare – si porteranno il fardello di questa e altre imprese italiche.

L’aspetto paradossale è che l’Italia ha doti uniche che la rendono attraente per molti investitori esteri. Con tutti i possibili limiti abbiamo creatività, capacità di innovare, un tessuto produttivo sostanzialmente sano e molto diversificato, una grandissima capacità di risparmio dei cittadini e tanti altri vantaggi che a livello internazionale sono comunque riconosciuti e apprezzati.

Ora però la nostra Armata Brancalone sembra che stia per andare in battaglia con ardore e coraggio, anche se sicuramente, i cattivi europei e non solo, ci stanno aspettando; pronti e ben armati.

Per il momento intanto i nostri eroi hanno inviato un coraggioso esploratore a togliersi una scarpa per sporcare i fogli della relazione del Commissario Europeo Moscovici e far capire che aria tira da queste parti. O da quelle, ma questo non è ben chiaro.

Se battaglia sarà, speriamo di non prendere troppe botte perché i relativi costi, nel decreto Genova, questa volta non potranno proprio inserirli.

Per il momento non si può fare altro che attendere e osservare cosa accadrà sperando che finisca a cantucci e vino.