Pianeti diversi. Assicurati, fai sport, dimostramelo e ti regalo l’Apple Watch.
L’Italia è – purtroppo – uno dei paesi con la minore abitudine a coprirsi dai normali rischi della vita con specifici prodotti assicurativi. Ciò accade probabilmente a causa di tre principali motivi:
A) L’abitudine storica a una forte ripartizione sociale dei costi di assistenza. Anche quelli derivanti da comportamenti personali perlomeno poco previdenti quando non addirittura errati. Tipicamente il pensiero di molti è “se fumo, mangio o bevo fino ad ammazzarmi sono affari miei”, mentre in realtà questi comportamenti hanno un peso economico pesantissimo per tutta la società, compresi peraltro gli stessi attori di questi errori anche se – purtroppo – non lo scontano direttamente.
B) Un modello sociale arcaico basato sulla famiglia intesa anche come ammortizzatore che assorbe al suo interno l’impatto degli imprevisti sulla vita dei suoi componenti. Un modello però basato su famiglie molto numerose nelle quali quasi tutti anche in giovane età producevano reddito e che ormai sta rapidamente scomparendo.
C) La mancanza quasi assoluta di cultura finanziaria e, con essa, l’altrettanta assoluta abitudine a coprirsi da rischi che possono essere devastanti al loro presentarsi in quanto normalmente non sono assolutamente percepiti.
La nostra è la patria delle polizze Unit e Index Linked (portafogli finanziari mascherati da contratti assicurativi) vendute a man bassa dalle reti di promotori finanziari, banche, assicuratori e Poste e allegramente acquistate dai sottoscrittori quasi sempre senza comprendere cosa realmente acquistano.
L’Italia è anche il paese nel quale, quando si tenta di spiegare i contratti puro rischio che coprono la sola morte o eventi gravi legati alla salute e proporne la sottoscrizione (per un consulente finanziario indipendente non la vendita!) in una seria attività di consulenza, generano nei clienti una serie di gesti scaramantici più meno mascherati che farebbero invidia a un film di Totò. Eppure chiunque prima o poi si ammala e muore.
Se poi ci addentriamo nel campo delle coperture che riguardano l’autosufficienza in età più o meno avanzata (alzi la mano chi non ha un amico o parente nella cui famiglia sia necessaria una badante oppure alzi la mano chi la badante non la paga di tasca propria, ma grazie ad un’apposita copertura) ci si rende immediatamente conto che è più facile incontrare un marziano a passeggio nel centro cittadino piuttosto che riuscire a reperire sul mercato una ragionevole e diversificata offerta di contratti di protezione “long term care”.
Ovviamente i produttori non li propongono perché non c’è richiesta, ma coloro che non li vogliono sono poi esattamente quelli che hanno un loro caro bloccato nel letto di casa.
Altrove la situazione è completamente diversa, assicurarsi è un necessità in quanto le coperture sociali sono inferiori, ma anche un fatto normalissimo ed essenziale nella vita di chiunque.
Accade allora che negli USA un assicuratore (John Hancock) proponga ai suoi clienti un orologio Apple Watch al costo di soli 25 USD in caso di sottoscrizione di un contratto assicurativo per l’evento morte. Unico imprescindibile vincolo: dimostrare (proprio grazie alle funzioni di monitoraggio di un’app dell’orologio stesso!) di svolgere una corretta attività fisica.
Chi ci guadagna? L’assicuratore, l’assicurato sia in termini economici sia di aumento oggettivo della speranza di vita, il servizio Paese stesso e una micro particella dell’economia americana (la Apple e tutti quanti faranno direttamente o indirettamente parte di questa filiera).
Quasi pianeti diversi.